I sovrani della XVIII dinastia, meglio di ogni altra, sanno forgiare una classe dirigente capace, riescono a conquistare un impero e a costituirlo saldamente. L’epoca è caratterizzata, in politica estera, dal proseguire della guerra verso est contro Urri e Mitanni, dal rafforzamento del possesso della Nubia settentrionale e dalla conquista di quella meridionale, che accettano infine la cultura egizia. All’interno avviene una crisi dinastica provocata dalla regina Hatshepsut, che però interessa soltanto le alte gerarchie dello stato. L’Egitto gode, dunque, di un ventennio di pace. Nel 1503 a.C. Tutmosi III sale al trono come coreggente e in tale carica rimane per ventidue anni. Fra il 22° e il 44° anno del suo regno conduce diciassette campagne militari che portano la potenza dell’Egitto fino alla Mesopotamia, oltre l’Eufrate. L’intero Levante così sottomesso è organizzato in province. Dopo la morte di Tutmosi III (ca. 1450 a.C), con i suoi successori, la politica dell’Egitto sul Levante degenera, invece, in un pacifismo rinunciatario. Il primo sovrano di questa fase è Tutmosi IV che, ispirato da un sogno, dissabbia la Grande Sfinge di Giza; segue poi Amenofi III che mantiene la pace all’interno e sui confini per oltre un trentennio (1417-1379 a.C.): del suo gigantesco tempio funerario nella piana di Tebe Ovest rimangono soltanto le due statue del re, i "Colossi di Memnone". La crisi religiosa promossa, invece, da Amenofi IV scuote l’intera struttura amministrativa, mentre si accompagna a un totale disinteresse per l’impero orientale.